L’intervista
Roberto Paolo, presidente della FILE (Federazione Italiana Liberi Editori) ospite negli studi dei colleghi di Metropolis tv, che ringraziamo) ha affrontato la discussione su editoria e giornalismo e annessa evoluzione dei settori sostenendo che è improprio parlare di crisi dell’editoria quanto piuttosto di grande trasformazione in atto e di crisi della carta stampata.
«In realtà la domanda di informazione è, secondo me, cresciuta rispetto agli anni precedenti – ha detto Roberto Paolo – Le notizie dei nostri giornali hanno un numero di fruitori molto maggiore ma questa fruizione non avviene più secondo lo schema classico. Quello che non viene più venduto è il contenitore di notizie, il nostro giornale tradizionale, ed erroneamente le cause si cercano all’esterno: in realtà è proprio il contenitore che non è più attrattivo perché il giornale strutturato in un certo numero di pagine, con alcune centinaia di notizie organizzate gerarchicamente dalla redazione, viene venduto anche on-line in un formato digitale e anche lì non riesce a trovare un pubblico che è disposto a pagare per ottenere quel prodotto. Sta avvenendo una rivoluzione che coinvolge tutta la società, sarebbe miope concentrarsi soltanto sull’editoria e sulle modalità di fruizione delle notizie: è cambiata la modalità di vita grazie alle innovazioni tecnologiche che sono sempre più rapide e quindi anche difficili da governare. Cambiando il modo in cui le persone comunicano tra di loro, si è evoluto anche il modo di comunicare da parte dei professionisti dell’informazione al loro pubblico. Le nostre notizie vengono lette in maniera frammentaria, che è la metodologia di fruizione di ogni cosa da parte di chi utilizza queste tecnologie e quindi la quasi totalità della popolazione».
Giornalismo di qualità gratis?
Altro punto saliente affrontato nell’intervista con la tv campana la sfida, complicata, di far passare il messaggio che l’informazione si paga, la percezione di poterla avere gratuitamente attraverso i social e il web crea difficoltà alle aziende editoriali: «Resta inteso che la strada del giornalismo di qualità è l’unica che possiamo continuare a seguire. Assolutamente sì. C’è stato un periodo, verso la fine degli anni ‘90 e l’inizio del nuovo millennio, in cui ci hanno fatto credere che la pubblicità avrebbe remunerato i contenuti e che gli editori avrebbero potuto incassare tramite essa. Ci fu inoltre il fenomeno del “Free Press”, basato sull’idea che la carta stampata sarebbe stata remunerata interamente dalla pubblicità e quindi non vi era bisogno di vendere in edicola ma di raggiungere un pubblico quanto più vasto possibile. Anzichè venderlo, c’era necessità di distribuire tanto prodotto, quindi cavalcando l’onda del Free Press, si iniziò a distribuire nei grandi punti di aggregazione metropolitana centinaia di migliaia di copie, pensando di essere più attrattivi per la pubblicità. In quegli anni c’era il terrore nelle redazioni della vecchia editoria perchè si pensava che ci avrebbero sostituito con l’informazione gratuita. Non è successo questo perchè la Free Press è quasi totalmente scomparsa, è rimasto un solo giornale di questo tipo a Milano e Roma, mentre prima, quando sono nati, ce n’erano quattro soltanto a Napoli. Si credeva sarebbe stato il modello vincente, non lo è stato però perché gli inserzionisti pubblicitari hanno capito che non erano disposti a pagare per comparire in fogli che andavano nel cestino direttamente, non in mano a lettori attenti. Lo stesso accade online: mettere la propria inserzione su un sito online scrollato freneticamente dal fruitore che non si sofferma a guardare il contenuto pubblicitario, per l’inserzionista ha poco valore. Ancora oggi infatti le pubblicità su carta vengono vendute con prezzi da 10 a 20 volte maggiori rispetto alle inserzioni online».
Difesa del pluralismo dell’informazione e dei contributi più che una nuova legge, un Regolamento Governativo
«Stiamo lavorando, con tutte le associazioni, assieme al dipartimento per l’editoria presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri per questo regolamento che però tarda ad essere formalizzato e presumibilmente non entrerà in vigore prima del 2026. Ciò che è importante dire è che la Federazione Italiana Liberi Editori, che io rappresento, riunisce editori puri ed editori no profit, ovvero editori che sono cooperative di giornalisti o enti morali che non lucrano e quindi non portano utili a casa ma reinvestono tutto in azienda e soprattutto sono “puri” perché la loro unica attività è fare editoria di informazione in formato quotidiano periodico, sia online che cartaceo. L’editoria per loro non è una maniera di assecondare gli interessi di altre aziende di loro proprietà come i grandi colossi. Proprio per queste caratteristiche siamo ritenuti dallo Stato Italiano meritevoli di un contributo che va solo a questo tipo di editori. Si tratta comunque di contributi molto bassi rispetto a quelli riservati ad altri operatori culturali come il cinema, i teatri, gli enti lirici e sono anche bassi rispetto a quello che gli altri paesi europei danno al mondo dell’informazione. Questi contributi sono fondamentali per mantenere il pluralismo dell’informazione perché senza essi, centinaia di testate soprattutto locali morirebbero e l’informazione, in Italia, rimarrebbe nelle mani di 4 o 5 grandi famiglie tra cui Confindustria, Caltagirone, Stellantis, Agnelli».
Democrazia e libertà di informazione, i pericoli
«È nei fatti che la democrazia è possibile solo se il lettore è correttamente informato. Lo si definisce tale quando ha una pluralità di mezzi a cui può rivolgersi e può scegliere liberamente a quale rivolgersi sapendo, con trasparenza, che va a leggere anche un giornale marcatamente di opinione, che però è onesto nel comunicarlo. Questa trasparenza è fondamentale come fondamentale è il pluralismo per una corretta informazione, senza quest’ultima i cittadini non sono messi in grado di operare alcun tipo di scelta, sia economica economica per le proprie famiglie, sia politiche».
Soluzioni alle porte
«Di fronte a sfide complesse come quelle che ci troviamo ad affrontare, io diffido da quelli che hanno delle ricette molto semplici. Sfide complesse presuppongono soluzioni molto complesse. Secondo me vi sono almeno tre livelli con tre soggetti diversi che devono fare la propria parte: i giornalisti, gli editori e infine la politica che deve regolamentare alcuni cambiamenti».