Dalle accise che dovevano essere eradicate alla promessa di lasciare la politica se il referendum fosse andato male; dai 120mila posti di lavoro annunciati pochi mesi fa e che il Ponte sullo Stretto avrebbe dovuto garantire, alle più modeste cifre di questi giorni rese dallo stesso ministro che parlano (forse) di 40mila. Ed infine, anche se la lista è davvero lunga, dalla sperticata ammirazione all’ex “zar” più amato dai difensori dei valori di Patria, Famiglia e Chiesa, sparsa più o meno trasversalmente nel vissuto recente del centrodestra italiano (ma non solo), all’atlantismo fedelissimo ed all’europeismo altrettanto convinto dello stesso, almeno quando non si infrage sul tema dei diritti delle minoranze e delle popolazioni migranti e dei cosiddetti “modelli ungheresi”, o “polacchi” fino a poco tempo fa. Ora, va bene che la realtà – soprattutto la realpolitik – è complessa e che anche la nostra Costituzione non prevede il vincolo di mandato, ma si sta forse esagerando.
E soprattutto sbaglia chi sta sdoganando il concetto – e questo richiama anche alla responsabilità della corretta e libera informazione – non segnalando oltreché stigmatizzando questa deriva, cognitiva e morale, tutte le volte che ne ha la possibilità. Sempre più spesso davanti alle più clamorose “panzane” o scivoloni sul tema della coerenza politica, passa veicolata anche da anchorman e colleghi importanti ormai un mantra concettuale che è anche sinonimo di rassegnazione: «Eh sì ha detto una sciocchezza gigantesca, ma siamo in campagna elettorale ed un politico di questo ne tiene conto…». Oppure: «Questo Governo non è estremista e il suo premier tantomeno ma deve in qualche modo controllare quella “pancia” degli elettori con cui condivide un pezzo di Storia».
E come se per la prossima campagna abbonamenti ci affidassimo alle fake news in barba ad ogni fact-checking.