di TONI FARINA*
(*Ambientalista Ata)
Martedì 7 marzo, tarda mattinata, mi trovo su una terrazza al 15esimo piano del palazzo di Città Metropolitana di Torino. Una densa foschia ostacola la vista sulla città e sulle montagne. Sono passati pochi giorni da quando una nevicata è tornata a imbiancarle. Neve attesa e benedetta, manna dal cielo. Ma oggi l’aria tiepida annuncia primavera e il meteo prospetta per i giorni a venire temperature in incipiente aumento. Un flusso tiepido s’approssima dall’Atlantico, foriero di piogge fin oltre 2000 metri. Piogge però confinate oltralpe, lasciando ancora a secco la nostra pianura. Le nostre campagne. Accanto alla terrazza, una sala convegni ospita la presentazione del report “Neve diversa”, curato da Legambiente. È il terzo incontro sul tema “neve” a cui partecipo in un mese. In comune, oltre all’argomento, le sale affollate. Segno che il tema è sentito. Le ragioni sono ovvie e non sono relegate solo alla montagna, ma si estendono in modo drammatico alla pianura. Confermando che pianura e montagna sono legate: ecologicamente, socialmente, economicamente.
Giunto alla VI edizione, il report è ricco di dati che tratteggiano un quadro che di bianco ha ormai molto poco. E per quanto riguarda l’Italia, è un bianco sempre meno naturale. Ormai il 90% delle piste sono innevate in modo artificiale grazie a 142 bacini di approvvigionamento. Aumenta sia il numero di impianti dismessi (249), sia il numero di impianti chiusi in via “temporanea” (138), oppure aperti a singhiozzo e che sopravvivono grazie a consistenti iniezioni di denaro pubblico. Un accanimento terapeutico che non potrà durare a lungo, dato che proprio il territorio italiano è considerato dagli scienziati un “hot spot” del cambiamento climatico, evidente proprio nei territori montani.
Criticità ambientali e al contempo economiche: non è un caso che frammenti del dossier di Legambiente siano citati anche da Banca d’Italia. Sono presenti all’incontro amministratori pubblici di Piemonte, Valle d’Aosta e Città Metropolitana, ma soprat-È tutto non mancano gli imprenditori dell’industria della neve. Pur concordando sul fatto che non ha più senso finanziare impianti di bassa quota, ribadiscono che “Lo sci di pista è per la montagna un’attività economica insostituibile. Non esiste altra attività in grado di generare le stesse ricadute occupazionali. «Il venir meno dello sci di pista lascerebbe un cratere che nessun’altra attività potrebbe colmare». La presidente di ANEF ha anche spiegato che lo sci degli anni 2000 non può fare a meno della neve artificiale: la caduta della neve va “programmata”, per assicurare continuità alla stagione sciistica. Non solo, ma «essendo più stabile, la neve artificiale consente di avere piste di superficie regolare, senza le quali “non saremmo in grado di competere sul mercato internazionale ».
Alta tecnologia dunque: la neve affidata ad algoritmi e impianti funiviari sempre più performanti ed efficienti. Si è tentati di affermare che un’eventuale nevicata, pur creando un bel contorno, un paesaggio suggestivo, potrebbe rovinare la pista ben preparata. Paradossi dello sci moderno. Nell’era della transizione ecologica anche l’universo montagna fluttuerà fra un “non più” e un “non ancora”. Ed è soprattutto il “non ancora” che è stato esplorato nell’indagine che i giornalisti Maurizio Dematteis e Michele Nardelli, piemontese il primo e trentino il secondo, hanno condotto sulla montagna italiana, dalle Alpi alla Sicilia. Un’inchiesta ad ampio raggio i cui risultati si trovano nella pubblicazione “Inverno liquido” (La crisi climatica, le terre alte e la fine della stagione dello sci di massa). Criticità ed esempi virtuosi, la montagna in cerca di alternative, di un futuro che non ha i numeri delle grandi stazioni intervallive, ma esiste ed è sostenibile. Anche perché a conti fatti lo sci riguarda 290 Comuni montani su 3500. Dematteis e Nardelli sono ormai da un mese impegnati in tour di presentazioni, e l’elenco di serate è davvero lungo.
Nevi perdute
Ma veniamo alle nostre montagne, le Tre Valli giardino dei Torinesi e zone limitrofe. Il pomeriggio di sabato 14 gennaio era arduo trovare posto nella sala dell’Albergo Nei et Soleil di Pian Benot a Usseglio per la presentazione di “Nevi perdute (Scenari sciistici delle Valli di Lanzo)”, curata dall’ex direttore del Museo nazionale della Montagna Aldo Audisio. Molti autori coinvolti in un’opera corposa che è prima di tutto storia, non per nulla la pubblicazione è edita dalla Società Storica delle Valli di Lanzo. Molte foto in bianco nero. Fiat 600 e 850 a bordo strada, pantaloni alla zuava. Lo sci d’antan che coinvolgeva gran parte delle località valligiane, anche a bassa quota, come Piano Audi, “ultima frontiera della neve”, descritta sulle ali della nostalgia dal parroco Claudio Baima Rughet: «Mi affiderò ai ricordi per raccontare l’avventura sulla neve di questa borgata, affacciata sulla pianura. Avevo 10 anni quando un amico di famiglia, uomo di fatica, noto per fare il trasportatore di legna sulle spalle, dal carattere un po’ burbero e solitario, ma sensibile e generoso, assecondava la richiesta di alcuni bambini di montare il suo verricello per trascinare, anziché la legna, gli slittini e i bob».
Si sciava su un prato “an tlan vers” dietro la chiesa, e così è stato fino al 1993. Ancora don Claudio: «Diverso è oggi il modo di vivere la montagna. Numerosi sono gli sci alpinisti che, neve permettendo”, risalgono il Monte Soglio”. Già, neve permettendo. Da appas-sionato sci alpinista guardo oggi, ennesima giornata di inverno primaverile, la china del Monte Soglio, triste e spoglia. E, come il don, mi affido anch’io al ricordo di quel tempo, vicino e lontano, quando era normale fare il Soglio con gli sci a metà aprile e talvolta oltre.
Balme e Ala, “oltre la neve”
Trovare un diverso modo di vivere la montagna, ma anche di vivere in montagna. Questa la finalità di BeyondSnow, un “progetto che mira ad aumentare la resilienza socio-ecologica delle destinazioni turistiche di piccole dimensioni, situate a media altitudine, per consentire loro di mantenere la propria attrattiva per residenti e turisti. Un progetto Interreg Alpine Space ideato dall’Associazione Dislivelli e che vede come capofila Eurac research e tra i partner il Politecnico di Torino e Città Metropolitana di Torino. BeyondSnow «prevede l’elaborazione congiunta di nuovi percorsi di sviluppo sostenibile, processi di transizione e soluzioni attuabili all’interno di specifiche aree di lavoro pilota dislocate in sei paesi alpini». Tra le aree pilota ci sono Balme e Ala di Stura, uniche località incon Usseglio a ospitare ancora impianti in funzione nelle nostre valli. Ma occorre guardare “oltre”, in un futuro sempre meno candido. Anche perché, come già detto, montagna e pianura, sono collegate. Dalla pianura salgono alla montagna i turisti, portatori di reddito, ma dalla montagna scende alla pianura quel servizio ecosistemico vitale che si chiama acqua. L’incubo si chiama siccità. E se i montanari d’oc sono usi al risparmio, non così i cittadini, per i quali un rubinetto a secco è una prospettiva fin qui relegata in certi film distopici. I rimedi? Come per la neve artificiale, si rischia di non andare al nocciolo della questione, affidando la soluzione alla sola tecnologia. In questo caso, al cemento dei “grandi invasi”, quando proprio cemento e asfalto che ancora si continua a stendere sul preziosissimo suolo fanno parte del problema.