di Toni Farina*
Notizia ANSA di qualche tempo fa: «Oggi presentiamo all’umanità una visione rivoluzionaria del cosmo grazie al telescopio spaziale James Webb, una visione finora inedita”», ha commentato Bill Nelson, Amministratore della Nasa anticipando la presentazione delle prime immagini.
Grazie alla tecnologia possiamo dunque vedere stelle a milioni, molte di queste sono lontane miliardi di anni luce. Sempre il rivoluzionario telescopio lascia presagire che su un remotissimo pianeta ci siano tracce d’acqua e quindi una possibile abitabilità. Naturalmente Elon Musk già scalda i motori e il Presidente Biden è entusiasta: «Un altro piccolo passo per l’uomo, e un altro grande passo per l’umanità… ».
Sarà, ma a sentir parlare di distanze siderali, dimensioni neppure concepibili, mi viene voglia di prendere la bicicletta e fare un giretto nelle vicinanze. È in realtà un privilegio che mi concedo spesso nelle sere d’estate, quando il sole concede tregua e una timida brezza cala dalle montagne. Il percorso è più o meno sempre lo stesso, in quel lembo di campagna che sopravvive fra la periferia di Ciriè e il Torrente Stura di Lanzo non mancano stradine tranquille adatte allo scopo.
E così pedalo con studiata lentezza, tra profumi di fieno tagliato e il suono minimale dello scorrere di una roggia.
La luce del crepuscolo genera pensieri decadenti e mi viene da pensare: ma le stelle senza telescopio chi le guarda più? Nelle città, ma anche in molte zone di campagna, la notte è diventa- ta giorno.
Il bisogno di “sicurezza” esige luce, il buio genera ansie primordiali. Abbiamo questo insopprimibile (e insopportabile) bisogno di creare artificialità, di banalizzare gli ultimi scampoli di ambienti non antropizzati. La Natura in sé non ci basta, ci vogliono parchi “avventura” in ogni dove, ponti tibetani a 10.000 km dal Tibet, ferraglia su ogni parete, e grandi panchine, e croci alte cinque metri sulle montagne, come se la spiritualità si misurasse in metri. E ancora (come se non bastasse, ndr), grandi concerti sulle montagne e sulla riva del mare. Che il suono di risacca, evidentemente, è troppo poco. Assuefatti al banale (del amle?), drogati di paccottiglia, abbiamo bisogno di mediare in qualche modo il nostro rapporto con quel poco di natura che ancora ci circonda. E non ci accorgiamo che la luce del crepuscolo d’estate basta di suo: è un’avventura in sé.
Sì, perché certe sere d’estate hanno un che di magico, con le montagne sull’orizzonte che paiono onde del mare, e del mare hanno un colore blu profondo. E, come il mare, nascondono misteri che non occorre svelare. Perché anche il Mistero è un’avventura.
L’estate esige lentezza, anche la Terra pare ruotare più lentamente nelle sere d’estate. Ed è bello lasciare la bicicletta all’inerzia, mentre, per inerzia, la luna si alza sull’orizzonte.
L’astro che governa le maree ha dettato note e parole ed emozioni a stuoli di musici e poeti, ma oggi stenta a vincere l’umana indifferenza. Fatica a colmare il fossato sempre più largo che ci separa dai fenomeni naturali.
Ci vorrebbe un telescopio…
*(Consigliere del Parco Nazionale del Gran Paradiso e volto noto dell’Ata)