Una studentessa dell’istituto Albert cronista d’eccezione, o quasi per caso, per intenderci, è stata recentemente al confine con l’Ucraina e lo racconta nel primo capitolo di una rubrica che gestirà sulla pagina Facebook dell’istituto “Federico Albert” di Lanzo. La scuola tra l’altro ha realizzato diversi incontri di approfondimento sulle motivazioni del conflitto avvalendosi dei centri Labriola, Sereno Regis e Cytoyennes. Ecco il resoconto del viaggio e quello che ha scoperto.
Il confine tra Romania e Ucraina per buona parte segue il corso del fiume Tisa. Il confine terrestre è costituito da una fascia larga 10 metri per parte recintata da filo spinato. L’Ucraina e la Romania hanno 8 zone doganali per consentire accesso e uscita. Questo confine è il più grande e si trova a circa 30 chilometri dalla casa che ho in Romania e si chiama Siret. È un nodo molto importante che collega il Nord Europa con i Balcani e gli sbocchi sul Mediterraneo.
L’accesso dei cittadini che abitano vicino al confine può avvenire anche solo con la carta d’identità. Nella parte rumena sono stati rinforzarti i blocchi stradali vicino ai confini con le pattuglie della polizia di frontiera. Ci sono pattugliamenti degli elicotteri dell’aviazione militare e anche dei droni della Nato. Da quello che sono riuscita a capire, con l’aiuto di mio padre, ci sono stati sconfinamenti della popolazione maschile ucraina per sfuggire dall’arruolamento e dall’obbligo di combattere. Una volta in Romania chiedono l’asilo politico per evitare l’estradizione verso l’Ucraina.
Ci sono stati, anche, diversi casi in cui gli uomini arruolabili hanno pagato ai doganieri ucraini cifre che dai 1000 euro in su pur di non andare a combattere. Sono da capire, non tutti sono d’accordo a morire in una guerra non voluta e la legge marziale, secondo me, è uno strumento barbarico: perché ognuno è libero di scegliere cosa vuole fare del proprio destino e della propria vita.
Iris Ceviuc, III B Linquistico Istituto Federico Albert