di TONI FARINA*
Dunque ora una Grande Croce arricchisce il già ricco profilo della Rocca Moross, iconica montagna delle Valli di Lanzo. Evidentemente non bastava la sequenza di guglie che dal Pian della Dieta raggiunge la sommità. E proprio sul Pian della Dieta (strano toponimo per un luogo di merende) farà da controcanto alla Grande Croce una Grande Panchina rosa fucsia. Si chiamano Big Bench, l’ultima frontiera del turismo.
Sacro e profano sinergici sulla cresta della Moross. Installazioni all’apparenza contrastanti ma in realtà legate da un unico filo conduttore: la necessità di esserci. Di marcare il territorio.
In particolare, la croce sulla cima di Rocca Moross è stata ed è tutt’ora spunto per vivaci polemiche. Comprensibile, la sacralità è argomento complesso e divisivo.
Per i motivati propugnatori si tratta di un segno di radicata devozione, ragione di orgoglio montanaro, realizzazione di un sogno. Ed è così che sabato 3 luglio, con l’ausilio di un elicottero, hanno portato la croce sulla sommità, dov’era stata predisposta una base di cemento e pietra. Un elicottero certo: devozione antica, mezzi moderni… Per i non meno motivati detrattori si tratta invece di un segno eccessivo (sulla cima era già presente una piccola croce), di
umana prepotenza. Estremizzando il concetto: «… il Pianeta è mio, posso disporne come e quanto voglio… » Non per nulla quest’epoca è detta Antropocene.
Al di là di tutto, non credo di sbagliarmi di molto pensando che nell’anno 2021, anno secondo dell’era Covid, questa impellente necessità di ri-affermazione sia anche un modo per esorcizzare paure, ancestrali e nuove paure.
L’ignoto, che un tempo abitava le cime delle montagne (dove non c’era ragione alcuna di salire, altre erano le necessità), alberga ora intorno a noi. C’è questo futuro incerto, che neppure la tecnologia rende accogliente. E allora si torna lassù, a chiedere paganamente sostegno agli spiriti delle vette, e lo si fa così, un po’ profano, un po’ sacro.
Antropologi e filosofi possono confermare o smentire tutto ciò. E proprio antropologi e filosofi, insieme a un nutrito gruppo di persone di varia competenza e professione, stanno invece propugnando un progetto di sacralità ben diversa appena qualche vallata più a nord: sempre Alpi Graie, Gruppo del Gran Paradiso, tutelato dal primo parco italiano che l’anno prossimo taglierà il traguardo del secolo di vita. Ancora al centro del progetto c’è la cima di una montagna, il Monveso, sul crinale che divide (o unisce) il Piemonte e la Valle d’Aosta.
Una cima sulla quale non si prevede di collocare alcuna croce, né statua, né altri segni di umana presenza. Di più, si chiede alla comunità umana di non metterci più piede.
E non per regola imposta, ma per condivisione, accettazione di un Limite.
Una montagna definita “sa- cra”. Una sacralità moderna, attuale, aperta a tutte le genti e tutte le fedi.
Una sacralità antitetica a quella muscolare, esibita sulla Rocca Moross, montagna dissacrata da un’installazione fuori tempo.
Una sacralità non di possesso, ma di assenza.
E così, come in una chiesa non si varca il limite del tabernacolo, su questa montagna si chiede di fare un passo indietro. E “limitarsi” a guardare. Una Montagna Sacra per il centenario del Parco nazionale Gran Paradiso, simbolo di pacificazione fra Uomo e Natura.
Per dare una possibilità al futuro.
*Consigliere del Parcoo Nazionale del Gran Paradiso