di Francesco Gennaccaro*
Di questi tempi è difficile parlare di drammi e di dolore; da quando è iniziata la pandemia di Covid-19 in ogni famiglia o quasi c’è stato un lutto o un piccolo dramma. Abbiamo vissuto l’angoscia dello stare nelle nostre case senza poter frequentare i parenti, gli amici o in alcuni casi gli stessi familiari. Perciò parlare di dolore per la morte di un albero potrebbe sembrare pretestuoso, oltre che presuntuoso; eppure è così: quello che provo oggi è un dolore che si aggiunge ad altro dolore.
Chiunque, in questi giorni si è trovato o si troverà a passeggiare lungo la sponda dello Stura, su Corona Verde o nei boschi limitrofi, non potrà non provare sgomento per l’enorme quantità di alberi sradicati dal vento. Tanti sentieri sono ancora impraticabili, interrotti da enormi masse verdi adagiate al suolo. Da poco tempo con le classi quinte della scuola primaria dell’I.C. Nole si era iniziato un progetto per il censimento degli alberi monumentali, o d’interesse pubblico, che si trovano in questo Comune e lungo le sponde del torrente Stura, con lo scopo, il sogno, di rendere il patrimonio arboreo di questa zona più “intimo“ ai cittadini e a tutti coloro che si trovano a passeggiare su questi sentieri.
Il piccolo uragano che si è abbattuto in questa zona il 20 di giugno, con raffiche che hanno sfiorato i 200 chilometri orari, in meno di mezz’ora ha raso al suolo centinaia di frassini, pioppi, acacie, olmi, roveri, ma soprattutto farnie. Queste ultime, alberi della famiglia delle querce, dalla chioma molto ampia e dal portamento maestoso, sono state le più colpite. Una strage.
Qualcuno, semplificando per difetto, chiama l’abbattimento di queste piante “selezione naturale”, ma non è così. Non è così. Come tutti convengono che non è normale una temperatura di 50° a Vancouver in Canada, non è normale un uragano con raffiche di vento di questa violenza in queste zone del Canavese. Il cambiamento climatico dovuto all’effetto serra, di cui noi esseri umani siamo i principali responsabili negli ultimi cento anni, sta cominciando a manifestare i suoi effetti dirompenti e drammatici per la nostra vita.
È già da un po’ di tempo che ci sentiamo dire da tutti gli organi di comunicazione che dovremo attenderci eventi climatici sempre più devastanti, come a pandemie sempre più virulente.
Forse dovremmo prenderci un attimo di tempo per fermarci a pensare e riflettere sui nostri comportamenti quotidiani, e non sarà certo l’acquisto di una nuova auto elettrica o di un’altra bicicletta a salvarci da questi eventi climatici e/o epidemiologici. Le due cose, dal mio modestissimo punto di vista, non sono separate, anzi sono strettamente connesse. Per fare ciò, fermarci a riflettere, servirebbe forse l’ombra di un albero, di un maestoso albero com’era la farnia di Nole.
Da qualche giorno però c’è troppa luce nel bosco, e la poiana continua a volare in tondo, come fosse un condor, sopra quel pezzo di cielo dove prima svettavano un groviglio di rami verdi di foglie, nel mezzo dei quali aveva nascosto il suo nido, lanciando nel limpido cielo il suo grido di dolore.
(* docente pubblico e ambientalista)