di Toni Farina
«È una bella montagna la Rocca Moross. Pur di altezza limitata (2.135 metri) vivacizza con le sue forme e il colore della roccia (Moross: Monte Rosso) il Vallone dei Tornetti in quel di Viù, nell’omonima valle. Non è eccessivo affermare che fu il contrasto fra le forme ardite di questa montagna e le forme invece morbide, “tondeggianti” di questo vallone (Tornetti, da torno, rotondo) ad attirare in questa zona les touristes fin da inizio ‘800.
Il contrasto fra le distese di pascoli e le aggettanti pareti della Rocca, la lunga cresta irta di torrioni che dal Pian della Dieta raggiunge l’aerea (e integra) sommità. Ed è proprio questa cresta movimentata qualificare la montagna, a segnarne l’unici- tà. La cresta divide il Vallone dei Tornetti dal Vallone dei Monti, in quel di Mezzenile. Da questo lato la montagna è però molto meno appariscente. L’aerea sommità della Rocca Moross rischia però di perdere a breve la sua integrità: a causa di una croce. Non una croce di altezza contenuta come tante si incontrano sulle cime delle montagne. Segni di una devozione radicata in queste come in altre valli. Appartenenti però – va detto – a un tempo che in buona misura dovrebbe essere superato dall’evoluzione della società e dei modelli culturali. No, la croce in questione è alta pare 4 metri e mezzo. E per la sua collocazione è già stata predisposta un base di cemento.
Al di là degli aspetti inerenti le norme paesistiche regionali, e l’eventuale placet della Soprintendenza, è evidente che l’idea della Grande Croce assume aspetti complessi e profondi. Ed è questa la ragione per cui l’idea ha suscitato un dibattito vivace e polemico, sui social e non solo. La domanda è spontanea. È opportuno, oggi anno 2021? Non dovremmo piuttosto come comunità umana, abitante la parte fortunata del mondo, fare un passo indietro? Evitare queste manifestazioni di gigantismo? Oramai abbiamo messo piede ovunque, non c’è angolo del pianeta che non porti le nostre impronte. Dalla sommità dell’Everest al più profondo dei mari. Non dovrebbe essere questo il tempo della cura? Il tempo di badare a quel che abbiamo? Perché in luogo della grande croce non si ridipinge qualche pilone votivo, ora triste e abbondonato al crocevia di un sentiero?
Che i tempi siano cambiati ce lo ricordano le alte montagne con le colate di detriti laddove fino a qualche decennio fa prevaleva il luccichio dei ghiacciai. Lo ha ricordato anche Papa Francesco nella sua Enciclica Laudato Sì. Evidentemente il suo richiamo al rispetto del Creato non è stato abbastanza forte. Ma per sentirlo non c’è bisogno di grandi “ripetitori di fede” sulle cime, ma di maggior introspezione. Impariamo da altre fedi: introspezione e silenzio al cospetto delle Alte Montagne».