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L'INTERVISTA. Il Presidente Uncem Marco Bussone analizza i grandi temi della fase politica e istituzionale del Paese con un occhio di riguardo al nostro territorio
«Le Valli di Lanzo sono per natura e storia il fulcro del Green New Deal di stampo europeo»
Dall'uso delle risorse europee del Recovery Plan alla irrinunciabile valorizzazione delle aree montane, rurali, interne e a vocazione agricola del Paese
“Non c’è ripresa senza territori. E oltre alla visione per l’uso delle risorse europee del Recovery Plan, serve organizzazione. Ecco quello che ci manca, anche per molti piccoli Comuni e per le nostre Valli. Organizzazione. Abbiamo bisogno di managerialità”. Il Presidente Uncem Marco Bussone, 35 anni, giornalista di Vallo, analizza i grandi temi della fase politica e istituzionale del Paese. L’associazione che guida da luglio 2018 riunisce oltre 3400 Comuni montani italiani, 540 in Piemonte, più di 70 nelle Valli di Lanzo e nel Canavese.
Bussone, usciremo dalla crisi politica i questi giorni più forti o più deboli? Il Governo Conte cadrà e si andrà verso le elezioni?
«Nessuno per ora può rispondere a queste domande. La crisi di Governo avviene nel momento meno opportuno, nella fase più complessa degli ultimi cinquant’anni. Non ha apparenti motivi logici. E Conte andrà a cercare i numeri al Senato per non cadere. Potranno esserci, come ci sono di certo a Montecitorio, ma il vero nodo è su quali elementi di crescita si imposta un lavoro per gli ultimi due anni di questa legislatura. Dobbiamo uscire più forti da questa fase e nessuno lo mette in dubbio. Ma finora nessuna forza politica ha ben chiaro come. Di certo la crisi pandemica e la crisi climatica impegnano la politica a essere meno litigiosa, a trovare soluzioni concrete, a individuare soluzioni per i ristori alle categorie più colpite dal covid. E impone di fare in fretta. La velocità, unita al ‘far bene’ non è mai stata una caratteristica della politica italiana. Ma in questa fase, tempi e modalità di azione sono decisivi. Rapidi ed efficaci nelle scelte, grazie a un confronto che metta da parte le differenze e i contrasti, come ha anche chiesto il Papa nella recente intervista televisiva».
Tutti usano il termine “costruttori” in queste ore. Ma chi sono veramente?
«È stato il Presidente Mattarella a usare questo termine nel suo discorso di fine anno. ‘C’è bisogno di costruttori’ ha detto. MI ha subito fatto pensare alla rigenerazione dei nostri territori, alla rivitalizzazione dei borghi alpini, alle imprese e agli artigiani anche dei nostri territori. Mi ha fatto molto ragionare quel termine e quell’appello. Ora si usa, il termine ‘costruttori’, anche riferendolo ai Senatori che potenzialmente voteranno la fiducia al Governo Conte nei prossimi giorni al Senato. Non so se sia o meno un abuso. Io resto con la mia visione più pragmatica, a partire dai nostri borghi-metafora del Paese da ricostruire. Una visione forse ‘materiale’ o parziali, guardando però a un preciso disegno che con Uncem negli ultimi dieci anni abbiamo costruito per ripensare i territori e i nostri paesi.
Ripensare i territori, lei dice. Vi è lo spazio anche nel ‘Piano nazionale ripresa e resilienza’ che il Governo ha varato per l’uso dei 230miliardi di euro che l’Europa darà all’Italia grazie al Piano Next Generation EU?
«Ho sempre sostenuto, e non solo io, che nei territori montani, rurali, interni e a vocazione agricola del Paese, negli ultimi vent’anni si sono mosse forze capaci di leggere la realtà, di comporla e di mettere in moto progetti e strategie per tirarli fuori da un margine geografico ma non certo sociale ed economico. Mi riferisco alla capacità dei Sindaci, delle forze sociali, dell’Associazionismo, del Terzo settore, di dire che i nostri paesi e i nostri borghi non sono comprimari delle aree urbane, bensì legittimati a proporre forme organizzative diverse e peculiari. Così è stato. Sempre più spesso i giornali, anche il Risveglio, raccontano ‘Storie’ veramente intelligenti di persone e comunità che stanno cambiando il contesto in cui vivono. Lo rigenerano con la forza di idee e progetti. Si riparte solo da qui. I processi dall’alto devono tirar fuori tutto questo ‘meglio’ che nasce dal basso, instradarlo dandogli forma. Sostenendolo».
A cosa si riferisce?
«Alle cooperative di comunità ad esempio, forme di impresa che non nascono da un singolo, ma da un’intera comunità che svolge mestieri insieme, a vantaggio della comunità stessa. Ha come fine il bene comune, gli utili per tutti. Non è comunismo, non è capitalismo, ma la ‘terza via’ è la comunità. I borghi già ce lo fanno sperimentare. Guardo anche alle associazioni fondiarie, che pure nelle Valli di Lanzo e nel Canavese stiamo sperimentando per superare la frammentazione delle superfici e ripensare una nuova agricoltura estensiva, con imprese nuove, giovani, dinamiche e naturalmente con un’impronta ecologica che rispetta natura, ambiente, territori. Penso ancora alla capacità anche dei Comuni di lavorare insieme, di essere uniti nelle Unioni. Non è solo un obbligo, bensì un’esigenza democratica che anche qui sperimentiamo. Penso ancora alle ‘infermiere di comunità’ quale nuova forma di welfare per i nostri territori».
«Alle cooperative di comunità ad esempio, forme di impresa che non nascono da un singolo, ma da un’intera comunità che svolge mestieri insieme, a vantaggio della comunità stessa. Ha come fine il bene comune, gli utili per tutti. Non è comunismo, non è capitalismo, ma la ‘terza via’ è la comunità. I borghi già ce lo fanno sperimentare. Guardo anche alle associazioni fondiarie, che pure nelle Valli di Lanzo e nel Canavese stiamo sperimentando per superare la frammentazione delle superfici e ripensare una nuova agricoltura estensiva, con imprese nuove, giovani, dinamiche e naturalmente con un’impronta ecologica che rispetta natura, ambiente, territori. Penso ancora alla capacità anche dei Comuni di lavorare insieme, di essere uniti nelle Unioni. Non è solo un obbligo, bensì un’esigenza democratica che anche qui sperimentiamo. Penso ancora alle ‘infermiere di comunità’ quale nuova forma di welfare per i nostri territori».
E cosa c’entra tutto questo con il Next Generation EU italiano?
«C’entra eccome! Tutte le missioni e le operazioni del Piano italiano che ora va all’esame del Parlamento, riguardano i territori. Ci sono le risorse per l’innovazione tecnologica, per la rigenerazione edilizia del patrimonio, per il welfare moderno, per modernizzare la Pubblica Amministrazione. E molto altro. Dove si fanno tutte queste cose? Nei nostri territori, che già come dicevo hanno dimostrato di saper dare risposte ai cambiamenti, siano questi portati da una crisi economica come quella del 2008, oppure dalla crisi ambientale e climatica, o ancora dalla crisi pandemica. Il territorio è la chiave di lettura del Piano nazionale Ripresa e Resilienza. Non con una competizione, bensì con la capacità di tutti i sistemi territoriali – le diverse valli alpine, ad esempio – di inserirsi nei grandi assi di lavoro del PNRR e portare a casa delle risorse utili per il loro futuro. Per questo è importante che tutti leggano il Piano, lo conoscano, pensino non a un elenco della spesa di opere e cose da fare con quei soldi, bensì piuttosto a come i territori rinascono con quelle missioni e operazioni».
In questo scenario, cosa fanno Valli di Lanzo e Canavese? Come si posizionano?
«Sono centrali. Troppo spesso le riteniamo inadeguate, sventrate dalle crisi, indebolite. Occorre invece guardare al positivo, a processi già in essere o nuovi ai quali agganciare le sfide delle nuove risorse europee che saranno anche quelle della nuova programmazione europea dei fondi della coesione 2021-2027. Pensiamo al distretto dell’innovazione eporediese, dove un progetto come EcoValley sulle aree e sulla scia di Olivetti è perfettamente integrato con il Piano italiano Ripresa e Resilienza. Penso alla trasformazione green delle filiere della manifattura. Non c’è solo l’Ilva con il suo acciaio da rendere più verde. Anche il distretto dello stampaggio può e deve avere un posto in questo Piano. Penso alle filiere del legno. Castellamonte ha nella Segheria Valle Sacra un’avanguardia nazionale che è un modello anche per le costruzioni green, in legno locale, incentivate dal Piano nazionale. Sempre su questo asse, penso alla ‘Green community’ delle Valli di Lanzo che già stanno beneficiando di 10 milioni di euro come ‘area pilota’ nella Strategia nazionale aree interne. Servono visione ma anche capacità organizzativa. Io continuo a insistere sull’urgenza di una nuova managerialità politica e tecnica per gli Enti locali».
Cosa intende?
«I piccoli Comuni vincono le sfide del futuro solo lavorando insieme. Non ci salva il campanilismo e tantomeno un fantomatico ‘sovranismo municipale’. Questo ormai lo abbiamo capito. Ma siamo ancora deboli e un po’ timidi in questo processo che tocca democrazia e capacità di dialogo, relazione. I Comuni, piccoli e grandi, sono stati fortemente indeboliti da tagli ai trasferimenti e da un sistema normativo che ha bisogno di un tagliando vero. La legge sui piccoli Comuni del 2017 deve ancora essere pienamente attuata e spero non si perda altro tempo. Non bastano però le task-force nazionali a Palazzo Chigi o nei Ministeri. Dobbiamo far crescere delle competenze vere che possano entrare in servizio a brevissimo nella pubblica amministrazione. Giovani, volenterosi, preparati, intelligenti, che lavorino in rete tra Enti diversi. E li mettono in rete. Mi riferisco ai Comuni, capiamoci. Che hanno già lunga tradizione di collaborazione e sviluppo nelle Comunità montane e ora nelle Unioni, ma che non devono essere lasciati soli. Questo è un impegno politico, anche della Regione. Le Unioni, forti e coese, sono necessarie».
C’entrano anche le reti digitali?
«Sicuro. Perché i Comuni stanno in rete solo grazie alle reti. Di certo il ritardo del Piano nazionale banda ultralarga è gravissimo e ancora troppe aree anche delle nostre valli non vedono la tv e non riescono a telefonare. Anche su questi fronti il Piano nazionale ripresa e resilienza deve intervenire».
Per le Valli di Lanzo che 2021 vede?
«Ho già accennato all’importanza dei finanziamenti e dei progetti della Strategia nazionale aree interne. L’Accordo di programma quadro è realtà e ora si va nel concreto. Sottolineo un’altra importante notizia che ha aperto l’anno. E cioé l’avvio all’Istituto Albert del corso in agraria. Formare nuove competenze è decisivo per il futuro delle valli. Anche investendo risorse pubbliche. Il 2021 deve permettere la messa a terra di questi progetti. Sono un patrimonio comune».
A proposito di formazione. Come valuta l’accordo di Balme con l’Università di Torino per studiare modelli di sviluppo territoriali?
«È molto importante. A patto che Balme non sia sola in questo percorso e si uniscano entrambe le Unioni montane. Stringere rapporti con le Università è decisivo. Penso anche al lavoro che stiamo facendo con il nuovo Master della Scuola di Amministrazione Aziendale dell’Università su ‘Gestione e promozione del sistema montano’. O ancora al lavoro che l’Istituto di Architettura Montana del Politecnico di Torino sta facendo ad esempio per rigenerare le ex Casermette di Usseglio. Su questi e altri progetti servono risorse economiche. Non molte. Ma sicuramente quelle poche disponibili, anche dalla Strategia aree interne, sarebbero ben investite. Abbiamo bisogno infatti di progetti concreti, di modelli di investimento, di strutture nel settore primario e del welfare che siano impronta di un territorio montano che come ho detto non è ‘margine’, che non si piange addosso e affronta le sfide delle crisi. Le Valli di Lanzo sono per natura e storia il fulcro del Green New Deal di stampo europeo, della sostenibilità dunque e dell’economia circolare. Occorre crederci».
Anche in servizi più moderni?
Avevano ragione i tanti Amministratori e cittadini che dieci anni fa hanno iniziato a difendere l’ospedale. Dell’importanza di una sanità territoriale ci siamo accordi dal marzo scorso a oggi. L’ospedale è da potenziare, è moderno e va fatto crescere. L’Asl, la Regione, gli Enti competenti non siano miopi. Così come sulla ferrovia. Se ci sarà da scendere in piazza occorrerà farlo, come per l’ospedale, per difendere e proporre come rigenerare la linea Torino-Ceres. Il passante arriverà e la linea può veicolare nuovo turismo. Prima di tutto è un servizio da far crescere per pendolari, studenti e lavoratori. Di certo, mi auguro che vengano accantonate, da parte di alcuni politici, idee che vedrebbero meglio la dismissione di ferrovie locali per lasciar spazio a non ben precisate piste ciclabili. Fossi in loro farei altro nella vita. Il trasporto pubblico europeo vede nei treni un asse preziosissimo, da sviluppare. E la linea alpina verso Ceres richiede investimenti e promozione, organizzazione e marketing. Svegliamo chi si è assopito e non lo vuole capire».
Molti Comuni nel 2021 andranno a elezioni. Cosa fare da parte di chi si candida e verrà eletto?
«Coinvolgere le comunità. È la prima cosa. Ed è un approccio culturale, prima di tutto. Nei piccoli Comuni vi è un costante rapporto con le comunità, ma non sempre le persone hanno possibilità di esprimersi con processi di partecipazione riconosciuti e codificati. Dobbiamo individuarli anche nelle nostre realtà. Vanno ad elezione diversi piccoli Comuni, ma ricordo che va alle urne anche la Città di Torino. E il nuovo Sindaco sarà anche Sindaco della Città metropolitana, l’ex Provincia, della quale facciamo parte. Ecco che sia in campagna elettorale sia, soprattutto, dopo, occorre definire un patto forte tra città e montagna. Che non è effimero o ideale. È concreto. Torino riconosca il ruolo che le nostre valli hanno nel garantire acqua, assorbimento di CO2 nei boschi, tutela dell’assetto idrogeologico… Torino e la prima cintura compensino le valli per le emissioni di inquinanti, riequilibri il consumo di suolo, ci lasci una percentuale maggiore del valore dell’acqua, rinunci ad alcuni privilegi del trasporto pubblico per dare più servizi alle valli. Insomma, serve un patto vero. E il nuovo Sindaco di Torino deve saperlo sin da oggi. Sappiamo bene come si fa il patto e su quali fronti. Non certo con una pacca sulle spalle. La Città metropolitana non è una disgrazia, ma la vedo come un grande laboratorio di intese. Il dialogo e ‘il patto’ i territori sono disposti a farlo, ma dall’altra parte occorrono altrettante lungimiranza e visione».