Addette mensa, uno dei settori già strutturalmente più fragili tra i lavoratori della filiera di servizi ad aziende e scuole: sono 40mila in tutta Italia, con il loro lavoro e con l’indotto che questo genera (autisti, magazzinieri, fornitori vari) garantiscono un servizio fondamentale ma il cui lavoro è prevalentemente regolato da piattaforme contrattuali storicamente “al ribasso”.
Stipendi part time verticali e orizzontali da 400-600 euro al mese per una media di nove mesi l’anno. Chi riesce a compensare con qualche straordinario, o chi arriva alla meta delle 30 ore settimanali, a comunque meno di 1000 euro al mese, si ritiene fortunato. Chi poteva, prima della crisi Covid 19, integrava con qualche lavoretto, in vista della sospensione estiva. Ora la sospensione rischia di compromettere un’intera stagione.
Delle diverse ditte che, spesso attraverso appalti sostanziosi forniscono il servizio a scuole e aziende, abbiamo rilevato che solo la Camst – che in molti conoscono in zona – ha anticipato il Fis (l’equivalente della cassa integrazione (che copre circa il 50%): questo vuol dire che molti di questi lavoratori si sono praticamente ritrovati a zero reddito da marzo. Tra le grosse aziende che stanno riprendendo, ben poche hanno finora riattivato le mense.
«Cerchiamo di far luce sulle grave situazione di questa categoria di lavoratori, per lo più donne e molte sole e ragazze madri – riferisce Veronica Marinetti – delegata sindacale Uiltucs e referente di una cinquantina di operatrici – un comparto che arriva già da una debolezza intrinseca e quindi maggiormente bisognoso di aiuto».