All’interno dell’Istituto Albert di Lanzo dal mese di ottobre sono partiti alcuni PON (programma operativo nazionale), di 30 ore ciascuno, per il rinforzo delle competenze in alcuni ambiti disciplinari, tra cui il nostro, dedicato al giornalismo. Nel corso di questo laboratorio abbiamo incontrato il giornalista Antonello Micali, direttore de ‘Il Risveglio’, testata locale partner del PON e corrispondente di Repubblica.
Il primo incontro è avvenuto in redazione a Ciriè dove siamo stati invitati a riflettere sul valore dell’informazione, sul ruolo del giornale come ‘presidio di democrazia’, sull’importanza della concorrenza e della pluralità delle voci. Non solo: Micali ci ha indotto a prestare attenzione al mestiere del giornalista oggi, sempre in balia (come tutti peraltro) ma anche pressoché unico argine alle fake news. Nel secondo incontro il direttore ci ha fatto visita all’Albert e in questa occasione lo abbiamo intervistato».
Cosa l’ha spinta ad entrare nel mondo del giornalismo?
«In realtà la scelta è stata casuale poiché inizialmente il mio sogno era quello di entrare nel Corpo di Polizia. A causa del concorso bloccato ho dovuto cambiare i miei progetti “ripiegando” per predisposizione sul giornalismo dove all’inizio mi sono occupato – e formato – soprattutto nei campi della cronaca nera e giudiziaria, in qualche modo vicine al mio sogno iniziale».
Qual è stato il suo primo articolo e come si è sentito dopo la sua pubblicazione?
«Il primissimo articolo, per una rivista, si inseriva in un dibattito dell’epoca scaturito a seguito della pubblicazione di alcune foto in topless di Lilli Gruber rubatele mentre prendeva il sole sul balcone. Il secondo fu una specie di rivincita: tornai alla scuola dalla quale ero stato cacciato per raccontare una manifestazione studentesca. In entrambi i casi provai soddisfazione.
Secondo lei la tecnologia aiuta o limita i compiti di un giornalista? La eliminerebbe?
«Sicuramente aiuta il nostro lavoro poiché è anche una forma di espressione che può arrivare alle nuovi generazioni. Ma bisogna saperla utilizzare con criterio, limitandone la portata potenzialmente pericolosa».
L’avvento di Internet ha facilitato il suo lavoro o lo ha reso più complicato? Come fa a reperire oggi le informazioni?
«Sì, lo ha facilitato ma allo stesso tempo lo ha reso più complesso: oggi bisogna prestare più attenzione alle fonti cercando di stare alla larga dalle cosiddette ‘fake news’. La tecnologia permette di scrivere più articoli in un solo giorno a scapito però della cura delle notizie. Un tempo si impiegava un’intera giornata per la stesura di un articolo che era curatissimo dal punto di vista formale e nel reperimento delle fonti».
Quali sono i pregiudizi più comuni nei confronti dei giornalisti?
«Il falso mito del giornalista ‘pieno di soldi’. Il nostro mestiere è retribuito come tanti altri. I giornalisti strapagati sono pochi e sono quelli che si vedono in Tv».
Oggi cosa le manca maggiormente del vecchio modo di ‘fare giornalismo’?
«Più di tutto il lavoro sul ‘campo’».
Come si individua la notizia più importante per la prima pagina?
«Dipende dalla varietà delle notizie che si ha tra le mani e dal confronto diretto fra la mia idea di direttore e la visione dei miei colleghi».
La “redazione” di Albert Siamo Noi