Cornelio Valetto, il partigiano “Lio”, ci ha lasciati.
Il vice comandante della Brigata di manovra “Moro” si è spento a Pasqua, all’età di 94 anni, nell’abitazione torinese. La sua scomparsa è una grave perdita per la Resistenza e la memoria di quei fatti, perché “Lio” è stato uno dei protagonisti autorevoli di quell’epopea di sangue e di gloria: attivo, fin dal settembre 1943, nella zona di Corio Canavese, patì il carcere fascista e visse le esaltanti giornate della Liberazione. Pochi conoscono la sua storia partigiana nelle fila della 4a Divisione Garibaldi, perché lui preferiva raccontare quella dei compagni che sacrificarono la loro vita per la libertà e la democrazia: “A loro dobbiamo tutto!”.
Il ciriacese Valetto era cresciuto, come tutti i giovani di quel tempo, sotto la tronfia cappa retorica e mistificatoria del fascismo mussoliniano.
Tuttavia la frequentazione dell’ambiente cattolico e, in particolare, la figura antifascista del suo precettore Don Giordano, che, nel 1938 aveva sfidato i gerarchi, facendo suonare le campane durante una solenne manifestazione fascista, contribuì a formare in lui una coscienza critica rispetto al regime. Il 25 luglio 1943, militare di leva e studente di filosofia, in Piazza Castello a Torino osserva la folla festante per la caduta del fascismo e, all’indomani dell’armistizio dell’8 settembre 1943, sceglie di salire in montagna, a Piano Audi, uno dei primi “santuari” del nascente movimento resistenziale. Diventa “il partigiano Lio”. A marzo, si unisce alla formazione guidata da Claudio Borello, detto “il Moro”, che gli affida un delicato, pericoloso compito di servizio informativo militare. “Lìo”, che, a volte, assumeva anche l’identità di “Ruggero”, poteva sfruttare un documento del Provveditorato agli Studi di Torino, che attestava il suo ruolo di maestro elementare a Piano Audi con la collega Vera Ferrua, e ciò gli permetteva di circolare con una certa libertà.
“Utilizzando quest’opportunità potevo tenere i collegamenti tra i nostri comandi: scendevo in bassa valle, sovente all’Ipca, che era centro nevralgico partigiano a Ciriè, e mi recavo pure a Torino a prendere e a portare informazioni e documenti”. Secondo Valletto – nominato vicecomandante della Brigata il 25 gennaio 1945 in seguito alla cattura del “Moro” – una spiata mise fine a questa sua attività.
“E’ successo durante un rastrellamento, nel febbraio 1945. Vengo sorpreso e arrestato proprio nella scuola di Piano Audi dai paracadutisti del battaglione “Azzurro”, facenti parte del reggimento “Folgore”. Mi portano a Lanzo e per otto giorni sono costretto a dormire praticamente sull’acqua!”.
Intanto, a Ciriè, la madre si adopera, allo scopo di liberarlo, presso la parrocchia, che, a sua volta interessa il cappellano del Folgore qui di stanza. I tentativi portano, però, solo al suo trasferimento a Ciriè.
“Arrivo in treno, con le manette ai polsi, e vengo sbattuto in caserma. I tenenti Truccato e Conti m’interrogano e poi mi trasferiscono nelle prigioni di piazza Castello. Ci costringevano a stare una dozzina per cella e dormivamo sulla paglia piena di pidocchi bianchi. Eravamo ostaggi e l’attesa dell’eventuale sentenza era terribile. Quando, di solito al mattino presto, percepivamo l’arrivo di un camion, ci alzavamo in piedi come fossimo automi e ci addossavamo al muro, nella speranza di non sentire il nostro nome. Tutti sapevamo che fine facevano quelli caricati sul camion, basta pensare ai nostri dieci compagni fucilati a Barbania”.
I paracadutisti fascisti si servono di lui per il trasporto del carretto del rancio dei prigionieri, dalla prigione alla caserma presso l’edificio scolastico.
“Lungo il percorso incontravo parecchie persone che mi conoscevano, ma tutte facevano finta di non sapere chi fossi nel timore di essere arrestate. Soltanto la coraggiosa signora Mussa venne ad abbracciarmi …”.
A porre fine a quell’angosciante prigionia è un inatteso scambio di prigionieri il 28 marzo 1945. “Lio”, ottenuta la libertà, pedala nella notte e raggiunge San Giorgio Canavese, dove sapeva di trovare un paio di squadre della Brigata “Moro”. In seguito si unisce al grosso della formazione, che si era stanziata in Monferrato e di lì, insieme a questi uomini, partecipa all’insurrezione.
Svolge un ruolo di primo piano a Chivasso, dove un nutrito contingente della Brigata, prima cattura il presidio fascista della cittadina, ma, poco dopo, è a sua volta circondato e preso prigioniero da tedeschi in ritirata. I garibaldini della “Moro” sono picchiati e minacciati di morte.
“Quando vengo a saperlo, mi reco sul ponte del Po per trattare con i tedeschi. Sopraggiunge un’auto con italiani e americani e una grande bandiera tricolore. Con il loro aiuto chiediamo ai tedeschi di parlamentare. Quando, mesi prima, lo avevo fatto nel tentativo di liberare il comandante “Moro”, avevo memorizzato i nomi di molti ufficiali tedeschi e questo mi è tornato utile. Infatti, preparo un elenco di nomi, lo presento ai tedeschi e dico loro che se avessero torto un capello ai nostri compagni li avrei denunciati come criminali di guerra. I tedeschi prendano l’elenco e se ne vanno, ma poco dopo liberano tutti i prigionieri, dopo aver preso loro i vestiti”.
Nell’immediato dopoguerra, per i suoi meriti, Valetto é nominato rappresentante dei Partigiani in seno al Comitato di Liberazione Nazionale di Ciriè, “una città molto immiserita”.
A lui si deve la compilazione del diario storico della Brigata di manovra “Moro”, che alla causa della libertà diede ben 21 Caduti e numerosi feriti.
Con un gruppo di amici, nel novembre 1945, ridà voce a un settimanale, “il Risveglio”, soppresso dal fascismo nel 1924, “riprendendo così una continuità ideale”.
Si può dire che per “il partigiano Lio” la Resistenza sia sempre stata la sua stella polare. L’impegno morale e la sua onestà intellettuale non sono mai stati messi in discussione. Neanche quando nei suoi confronti di esponente democratico cristiano si manifestano gli effetti della contrapposizione ideologica est-ovest tra i grandi partiti di massa, non rinunciò mai ai valori per cui aveva scelto di stare dalla parte giusta.
La sua forza fu sempre la coerenza con le scelte del settembre 1943 e questo gli valse la stima e il rispetto anche degli avversari politici.
Non si contano le azioni a sostegno di iniziative mirate al ricordo della lotta partigiana, così come, finché la salute gliel’ha permesso, le partecipazioni in qualità di oratore alle manifestazioni commemorative. Senza dimenticare l’annuale ritrovo dei componenti della Brigata “Moro” e dei loro familiari nei luoghi in cui la formazione garibaldina operò.
Non era nel suo stile rivendicare meriti, ma oggi é doveroso ricordarne almeno qualcuno. Fu lui che aiutò disinteressatamente molti compagni a reinserirsi nella vita lavorativa. Fu lui che fece, come privato cittadino, la donazione più cospicua per erigere l’edificio della scuola-monumento del Cudine.
Fu lui che sostenne concretamente la manifestazione per titolare la scuola elementare di San Maurizio Canavese ai fratelli partigiani Luigi e Piero Pagliero, suoi compagni di brigata.
Nel suo giornale la Resistenza ebbe sempre spazio rilevante e lui stesso scrisse articoli importanti. In particolare per respingere i subdoli tentativi con cui si pensava di equiparare i partigiani ai repubblichini.
“Le polemiche alimentate negli ultimi tempi dai vecchi nostalgici del fascismo hanno portato all’attenzione la questione tra chi ha dato la vita per il ritorno alla libertà e chi ha perso la vita mentre a fianco dei nazifascisti combatteva perché la tirannia e la sopraffazione si protraessero nel tempo e le violenze continuassero, sempre più crudeli, a danno anche della popolazione civile. Noi siamo tra quelli che si inchinano senza distinzioni di parte, davanti a chi ha dato la propria vita per un ideale in cui credeva; ma siamo altrettanto rispettosamente fermi nel distinguere tra chi era per la libertà e chi era contro la libertà agli ordini delle S.S. tedesche responsabili di stragi orrende”.
Memorabile la polemica a puntate, che lo contrappose a Gian Paolo Pansa, “seguace della nuova moda a scoppio ritardato di oltre mezzo secolo”, pubblicata sulle colonne de L’Unità tra il 2003 e il 2005. Alla “crudeltà sottile narrata a senso unico” dal fortunato e controverso autore de “Il sangue dei vinti”, il cattolico Cornelio Valetto, dall’alto della sua dignità morale, prima chiese invano il “perché” di tale operazione revisionista e poi, ricordando i fucilati, gli impiccati ai viadotti dell’autostrada, le spie, i carri bestiame e i forni crematori, gli mise di fronte “Il sangue dei vincitori”.
Tuttavia, il suo pensiero di volontario della vera libertà e di uomo il cultura era rivolto principalmente ai giovani.
“Noi partigiani desideriamo che voi continuiate a vivere quei pensieri e quei principi che furono i nostri: il valore della libertà, la solidarietà verso chi ha vita dura e il rispetto della personalità dell’uomo. E a godere di quei valori che sono come l’aria che respiriamo. Sappiate che quelli sono pensieri e principi che nobilitano!”.
Grazie di cuore, comandante “Lio”!