«Se chiude l’Algat, il Ciriacese rischia la desertificazione industriale». Sono parole di rabbia e frustrazione quelle dei sindacalisti al termine dell’assemblea con i lavoratori che si è tenuta nel pomeriggio di lunedì 15 luglio. A rischio ci sono duecento posti di lavoro: l’azienda di strada Corio è tecnicamente fallita. Il motivo? Il concordato preventivo, richiesto per sospendere i debiti accumulati negli anni e che sarebbe scaduto il 9 agosto, è stato rigettato dal tribunale di Varese. I proprietari avrebbero pagato i dipendenti senza comunicarlo al giudice. «Siamo profondamente amareggiati – allarga le braccia Vito Bianchino, della Fim Cisl – perché, se sul tavolo ci fossero state tutte le carte fin dall’inizio, forse si sarebbe potuto evitare questo scenario». I debiti ammontano a 36 milioni di euro: 18,5 milioni nei confronti dell’Inps, 9 della banca Carige e 8,5 dell’Agenzia delle Entrate. Senza dimenticare i fornitori, il Comune di San Carlo e il fondo Cometa. Ed è stato proprio l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale a presentare istanza di fallimento. «La notizia del fallimento è stata come una doccia fredda – ammette Julia Vermena della Fiom Cgil – perché esistono tutte le condizioni affinché l’Algat possa proseguire la propria attività. Le commesse ci sono, a testimoniare la bontà del prodotto e l’alta qualità dei lavoratori. Se chiude anche questa fabbrica, il Ciriacese direbbe addio ad una delle ultime grandi realtà industriali presenti sul territorio». Ora la speranza è che qualcuno possa farsi avanti e rilevare l’azienda. «Vogliamo dare continuità a questo stabilimento – evidenzia Luigi Paone della Uilm – faremo tutto il possibile per dare una speranza ai lavoratori». Tra i dipendenti c’è anche Daniele Vernetti, giovane consigliere comunale di San Carlo: «Ho già parlato con il sindaco – ammette – che si è subito attivato contattando anche l’assessore regionale al Lavoro, Claudia Porchietto. Siamo allibiti: fino alla scorsa settimana sembrava non esserci alcun problema, ora invece si prospetta la chiusura della fabbrica. Sarebbe un dramma non soltanto per San Carlo, ma per tutto il territorio: almeno l’80 per cento degli operai abita infatti nel Ciriacese». L’azienda è specializzata nel campo dello stampaggio a freddo della lamiera, con posizione di leader sul mercato nel campo specifico della imbutitura profonda e vanta inoltre, fin dagli anni Sessanta, una posizione di primato nella tecnologia della tranciatura fine. Lo stabilimento di San Carlo fu rilevato e quindi salvato 7 anni fa dall’amministrazione straordinaria a cui era sottoposta dalla famiglia Castiglioni ed ora alla guida del gruppo Casti Spa. Ora si attende l’incontro con la curatrice fallimentare, Manuela Bianchi, nominata dal tribunale di Varese. «L’unica via di uscita è l’affitto dell’azienda, che eventualmente prevederebbe anche la cassa integrazione – concludono i tre sindacalisti – ma se non ci sarà nessuna manifestazione di interesse, il rischio è che si vada verso la mobilità per tutti i lavoratori».
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