Pubblichiamo la lettera aperta del sindaco di Ciriè, Francesco Brizio, in merito alla sua apparizione in aula, ieri, lunedì 11 marzo, al processo Minotauro contro le infiltrazioni della criminalità organizzata nel Torinese. Come è ormai noto, Francesco Brizio, che non è mai stato indagato nell’ambito della succitata inchiesta, è stato interrogato dai pm (insieme ad altri esponenti politici come Fabrizio Bertot e Claudia Porchietto) ed altri, in veste di testimone.
«Ho deciso di scrivere questa lettera per condividere con Voi riflessioni,
precisazioni e molta amarezza.
Mi riferisco, in particolare, al processo “Minotauro”. Nella giornata di
lunedì 11 marzo sono stato chiamato, in qualità di testimone, al processo
in corso in questi giorni a Torino.
I fatti sono quelli riferiti alla campagna elettorale delle amministrative
del 2011.
La pubblica accusa ha raccolto testimonianze per provare la tesi di
tentativi di contatti tra alcune persone riferibili alla ‘Ndrangheta e la
politica.
Anche a me è stato chiesto di ricordare se ci fossero stati alcuni
tentativi di conoscenza. E ho garantito la massima collaborazione in questo
contesto. A distanza di due anni, non è sempre facile – come credo tutti
voi possiate comprendere – ricostruire con perfezione gli incontri avuti
durante la campagna elettorale, in un periodo in cui si vedono centinaia e
centinaia di uomini e donne.
Ribadisco con chiarezza che i miei contatti furono con Vincenzo Femia,
esponente del Partito Democratico, che chiese di potermi far incontrare
alcune persone. Fatto che credo, unanimemente, si possa definire “normale”
in campagna elettorale.
Sono solito essere educato e gentile con le persone che incontro, non credo
però che questo possa e debba essere un elemento da usare per far intendere
relazioni che non esistono. E questo voglio ribadirlo con chiarezza. Ma
oggi non fa notizia il “non c’è stato alcun seguito agli incontri con i
signori su cui state indagando”».
Francesco Brizio