Il terremoto che ha colpito l’Emilia Romagna nel maggio scorso ha fatto danni inestimabili a cose e persone. Per aiutare la popolazione, sono state subito create delle tendopoli in cui vivere per qualche mese, e molti enti si sono attivati per dare una mano a riportare il più in fretta possibile la normalità.
Irene Berrone, 27 anni di Ciriè, è stata una di quelle persone ad essere stata direttamente coinvolta da uno di questi soggetti e in questa intervista, e ci racconta la sua esperienza in nella regione del centroitalia.
Com’è nato il tuo intervento diretto in Emilia Romagna?
«Mi trovavo in vacanza e sono stata contattata da Save the Children, che cercava personale per gestire un programma con i bambini all’interno del Progetto Emergenza Emilia Romagna. Mi è stato chiesto se fossi stata disponibile a partire anche nel giro di pochissimo, perciò… sono tornata di fretta a Ciriè e dopo due giorni, il 18 agosto, sono partita».
Di cosa ti sei dovuta occupare, nello specifico?
«Io e il mio team, una quindicina di operatori, lavoravamo in 4 tendopoli: a Finale Emilia, San Possidonio (il mio, che ospitava in particolare bimbi provenienti da famiglie a rischio sociale), Novi di Modena e Concordia sulla Secchia. Il nostro tendone si chiamava “Spazio a misura di bambino”, dove facevamo tutti i giorni attività con i più piccoli con l’obiettivo di aiutarli a rielaborare il trauma e a tirare fuori le loro emozioni, in particolare la paura. Abbiamo lavorato anche molto sulla risoluzione non violenta dei conflitti: vivere in una tendopoli per 4 mesi, dove si deve dividere una tenda con altre 2-3 famiglie, farsi la doccia in bagni chimici e dover far la coda per mangiare crea ovviamente molto stress. Erano molto frequenti i litigi, tra gli adulti così come tra i bambini. Ci siamo concentrati anche sulla Convenzione Onu sui diritti del fanciullo, realizzando diverse attività e giochi. Erano previsti laboratori di cucina, drammatizzazione, lettura, gioco libero, manipolazione ecc.; infine sono state anche organizzate delle gite, ad esempio a Mirabilandia».
Di cosa ti occupavi prima di partire per questa nuova esperienza?
«Mi sono soprattutto occupata di rifugiati politici e di donne vittima di tratta. I miei colleghi invece arrivavano da esperienze specifiche di laboratori scolastici, e da un progetto sulla discriminazione. All’inizio quindi li ho affiancati, osservando; poi ho cominciato ad agire, in coppia con una mia collega».
Il terremoto che effetti ha avuto sui bambini?
«Per molti c’è stata una forte regressione: bimbi di 5 anni sono tornati a mettere il pannolino; quelli stranieri hanno smesso di parlare italiano, e via dicendo. Tutti avevano un grosso problema ad accettare di essere arrabbiati perché la loro casa e i loro giochi non c’erano più. A bambini e adulti è rimasta una gran paura: soprattutto quella di addormentarsi. Una notte c’è stata una scossa: io dormivo, sono stata l’unica a non averla avvertita ma ricordo di aver fatto degli incubi. In tutti s’è risvegliato il panico, molti sono andati a dormire in macchina. Il nostro capo progetto è partito subito da Roma con un team di psicologi».
Rifaresti quest’esperienza? Qual è la soddisfazione maggiore che ti porti a casa?
«La rifarei mille volte. È stata una soddisfazione riuscire a relazionarmi con bambini difficili, e avercela fatta a terminare l’impegno; due settimane prima di partire ho temuto di non farcela: in situazioni di emergenza nulla è sicuro, e l’incertezza su una certa data piuttosto che un’altra circa la chiusura dei campi e quindi il nostro ritorno a casa mi ha messa a prova».
Adesso sei tornata a Ciriè e alla tua vita normale, che è fatta di… ?
«Sono tornata ad occuparmi dei GAS (Gruppi di Acquisto Solidale) alla Società Operaia di Ciriè, e sto cercando lavoro, anche se sono ancora concentrata a riabituarmi a questa realtà. Tornare, non è mai facile: l’ho provato anche in altri viaggi, ma stavolta è particolarmente difficile. Quando torni trovi tutto più o meno come prima, mentre dentro di te molte cose, se non tutte, sono cambiate: stavolta lo sento in maniera molto forte. Quando fai questo tipo di esperienze ti rendi conto di quanto il mondo sia grande, capisci che le persone che ti possono dare qualcosa e arricchirti sono davvero tante, e quindi torni già con la voglia di ributtarti in altro. Per tornare ancora più ricca».
Sempre dalla parte dei bambini: l’impegno di Irene