Venerdì scorso hanno condiviso il palco del Taurus con i Cahiers e i Soft Temple. Sono gli Ash of Nubia, trio volpianese con Marco Rossetti alla chitarra e alla voce, Aldo Accettulli al basso e Fabrizio Soldano alla batteria. Sono nati la scorsa estate dalle ceneri dei Nope, formazione attiva fin dal 2001. Dichiarano una stretta parentela con il cosiddetto “post rock”, un ampio contenitore musicale, poco conosciuto in Italia, che raccoglie al suo interno esperienze e sensibilità assai diverse, ma accomunate da alcuni elementi essenziali: un uso non convenzionale della formula rock tradizionale di basso, chitarra, batteria, con incursioni in territori propri di altri generi musicali, e una spiccata predilezione per le parti strumentali. E difatti loro stessi affermano di “cantare solo nei ritornelli, qualche volta”. Hanno realizzato da poco un mini EP interamente registrato e mixato nella loro sala prove di Volpiano: tre brani liberamente fruibili e scaricabili all’indirizzo http://ashofnubia.bandcamp.com/.
La loro pagina facebook di riferimento è http://www.facebook.com/ashofnubia dove potrete trovare tutte le novità al riguardo.
Portavoce della band è Marco Rossetti che ci racconta come è approdato a questa nuova avventura musicale.
Ash of Nubia. A cosa si riferisce il nome?
«Il deserto della Nubia è uno dei luoghi più inospitali della terra, ma è la culla della civiltà del Basso Egitto. Ci abbiamo unito il concetto di cenere, un po’ perché fa parte della nostra storia, infatti dalle ceneri dei Nope abbiamo creato questa nuova realtà; in parte è legato a una zona del mondo troppo spesso dimenticata, che abbraccia anche il Sudan, paese africano in eterno conflitto».
Dichiarate un’esplicita vicinanza con i musicisti del cosiddetto “post rock”. Come vi inserite in questo contesto?
«Il post rock sta diventando in questi anni un concetto come fino a poco tempo fa era quello di “alternative rock”: una sorta di calderone in cui far confluire un po’ di tutto. Per come lo intendiamo noi è un genere fortemente basato sull’emozionalità delle melodie e delle atmosfere, in cui la musica va a definire delle immagini sopperendo in molti casi al cantato. Anche per questo motivo ci siamo indirizzati verso una linea molto minimale nei testi, laddove questi ci sono; in alcuni brani abbiamo scelto una via puramente strumentale. Come gruppi di riferimento posso citare Mogwai, God is An Astronaut, Evpatoria Report… giusto per nominarne alcuni».
Sulle tue pagine facebook ho visto le fotografie dei tuoi lavori di assemblaggio e “customizzazione” delle chitarre…
«L’intervento sugli strumenti è una passione che accomuna noi tre, infatti poniamo molta attenzione all’aspetto non solo esecutivo, ma anche a quello tecnico e di ricerca sonora. Con la nascita degli Ash of Nubia tutti abbiamo cambiato radicalmente il modo di approcciarci al nostro strumento con diversi interventi e modifiche, per cercare sonorità che si avvicinassero il più possibile all’idea che avevamo in testa».
Com’è stata l’esperienza al Taurus?
«Ottima. Per noi era una sorta di “test di prova” per suonare su un palco serio, con gente preparata a seguirci nei suoni. Diverse persone sono venute a complimentarsi per l’originalità delle scelte musicali e questo ci fa piacere, visto che non vogliamo assolutamente proporci come gruppo-copia di qualcosa, piuttosto cercar di trovare la “nostra strada”».
«La nostra missione? Suonare il deserto, cantare la cenere»