Ha cento anni, ma ricorda ogni particolare della sua intensa vita. Santina Gregoris è stata membro del Cnl, per dodici anni nella commissione interna del Lanificio Bona, fondatrice a Caselle dell’Udi, l’Unione donne italiane, con più di cento iscritte. Ha combattuto per la libertà, la democrazia a rischio della propria vita.
Nata a Ciano Decimo in provincia di Pordenone, Santina è arrivata a Caselle a 14 anni con le suore dell’Immacolata Concezione. Il lanificio Bona aveva bisogno di operaie e lei fu una delle giovanissime lavoranti dello storico stabilimento di Caselle. «Stavo in convitto dalle suore – racconta – con altre compagne, strappate alla nostra terra per guadagnarci un pezzo di pane. A Caselle, però, sono stata bene. Ho fatto amicizia e proprio qui è maturata la mia passione per il teatro che ancor oggi porto nel cuore e pratico».
Quando Santina aveva 19 anni il lanificio andò in crisi e lei decise di tornare a casa dove rimase per qualche anno, si sposò ed ebbe due figli. Anni non facili di difficoltà e miseria. Poi arrivò la guerra e Santina decise di tornare a Caselle con tutta la famiglia. Le suore, con cui era rimasta sempre in contatto, le offrirono un alloggio in zona Caldano e Santina tornò, dopo un breve periodo in cui svolse la professione di rammendatrice, a lavorare al lanificio Bona. I tedeschi spadroneggiavano, c’erano i bombardamenti, bisognava aiutare i partigiani. Santina e tante giovani donne di Caselle furono il vero e proprio supporto e collegamento logistico nella guerra di liberazione. «Dovevamo sapere quando i partigiani scendevano dalle montagne – racconta – per preparargli i sacchi di cibo o aiutarli a nascondersi». Come facevate? «Alcune di noi attraversavano il paese con un mazzolino di fiori in mano – ricorda – e lo portava a noi in fabbrica che organizzavamo il supporto. Dentro a quei fiori c’erano tanti segreti. Era un modo per comunicare».
Rischiavate la vita tutti i giorni? «Sì – risponde – ma non si poteva vivere in quel modo. Sapevamo che se fossimo state intercettate saremmo state uccise, ma lo facevamo per un futuro migliore per i nostri figli, per riavere democrazia e libertà». Santina ha visto morire tanti partigiani, anche i cinque giovani che ogni anno Caselle ricorda il 2 febbraio. «Li fucilavano senza pietà – racconta, mentre la voce si incrina – Quel giorno lo ricordo come se fosse ieri. I ragazzi furono trucidati, li vedemmo per terra, crivellati di colpi e coperti di sangue. Sono cose che non si possono dimenticare. Aspettammo che i tedeschi se ne fossero andati, poi con altri partigiani li mettemmo nella paglia per trasportarli al cimitero».
Ogni anno Santina, che dal 2005 è ospite della casa di riposo Baulino, che si affaccia proprio sulla piazzetta dove c’è la lapide che ricorda quel sacrificio, dalla finestra della sua camera sventola il tricolore. «Mi mancherà non poterlo più fare – dice – là dove ci trasferiranno (nel nuovo Baulino) non vedrò più la lapide e il Prato della Fiera». L’impegno di Santina non si è esaurito però nel periodo del Cnl, è proseguito per anni al servizio delle donne. «Per conquistare parità, eguaglianza nel mondo del lavoro e dignità – conclude – Per le mie battaglie il lanificio Bona, approfittando di una crisi, mi ha licenziata a 54 anni».
Santina Gregoris, staffetta partigiana A 100 anni ama recitare e ricordare…