Qual è stato il movente che l’ha spinta, dopo l’8 settembre ‘43, a salire sulla Ciriè Lanzo e scendere a Ceres per unirsi ai patrioti della Banda Monviso del capitano “ Girardi” che si era insediato a Bracchiello dove fu catturato nel marzo del ‘44, portato prima a Lanzo e poi alle Nuove, e di qui a Mauthausen?
«L’esempio di mio padre che prima avversò la tracotanza dei fascisti e poi, dopo l’8 settembre , si oppose a quella dei nazisti che avevano occupato la nostra città».
In un suo libro Lei afferma testualmente: “ nessuno ha amato la patria come noi l’abbiamo amata”. Cosa rappresentava la patria per lei?
«Come ho anche scritto, la patria che amavamo era intesa non come un’idealità egoistica e prevaricatrice, ma come l’insieme degli affetti, delle cose, delle strade, della scuola, dei giardini, del campo sportivo e del bar dell’angolo, i luoghi dove abbiamo vissuto, amato, giocato, bisticciato e fatto pace ed è maturata la nostra coscienza democratica».
L’esposizione di un grandissimo numero di bandiere tricolori nell’occasione della ricorrenza del 150°anno dell’unità d’ Italia conseguita con il Risorgimento si può ritenere un segno positivo di una maggiore consapevolezza patriottica delle giovani generazioni?
«Certo. Siamo il paese più bello del mondo e gli italiani, salvo pochi, sono i più simpatici».
Il Presidente della Repubblica Napolitano riferendosi agli ex internati militari ha proferito la seguente frase: “ hanno compiuto il capolavoro di restituire a tutti l’idea di nazione e l’amore di patria che era stato travolto dalla degenerazione del fascismo”. Condivide questo giudizio?
«Condivido quanto ha dichiarato il Presidente della Repubblica Napolitano. Era stato un ruolo decisivo per orientare la scelta degli italiani. Inoltre, furono oltre seicentomila i militari che rifiutarono l’adesione alla repubblica di Salò. Patirono una dura prigionia ed ebbero oltre cinquantamila morti».
Nei suoi interventi cita spesso lo sfruttamento schiavistico dei deportati da parte delle Ss tedesche. Questa pratica di spietato sfruttamento a fini produttivi contestuale all’annientamento fisico e morale degli avversari non fu inventata dai nazisti, bensì da Lenin , già dagli anni venti, e proseguita su larga scala da Stalin, per non parlare dei “ campi di rieducazione” dei regimi comunisti asiatici. Cinese e cambogiano. Non ritiene che sia giusto condannare senza sconti queste forme di intollerabile prevaricazione della dignità dell’uomo?
«Tutti i regimi di oppressione sono condannabili, tuttavia, come ex deportato nel campo di sterminio di Mauthausen, non posso non rilevare come le camere a gas per sterminare uomini, donne e persino bambini, siano state una triste prerogativa dei campi di eliminazione nazisti. Auschwitz, Terezin, Mauthausen…»
Nel suo intervento di domenica 22 gennaio alle Nuove lei ha rievocato l’episodio della ragazza viennese vestita di blu che scambiò uno sguardo di commiserazione per il trattamento riservato ai prigionieri ammassati nei carri bestiame del treno fermo alla stazione centrale. Quel gesto di umana partecipazione costituì una risorsa spirituale per sopravvivere. Cosa si può fare in questo senso perché non ci siano mai più i lager che sono stati strumenti di annientamento adottati da tutti i regimi dittatoriali?
«Questo è anche un compito dei pochi sopravvissuti, affinché ricordando tentino di rammentare, in quel profondo male vissuto, qualche attimo di simpatia e di collaborazione tra uomini e donne condannati a vivere ed a sopravvivere per testimoniare».
Nei suoi interventi e negli scritti evidenzia spesso lo spirito di solidarietà che univa gli internati di tutte le nazionalità presenti nei lager. Secondo lei c’è ancora speranza che questo spirito di fratellanza possa rinnovarsi per dare vita ad una Europa unita?
«La voglia intensamente vissuta proprio nei lager».
Rievocando la sua esperienza nei lager ricorre spesso questa affermazione: “Abbiamo vinto noi perché loro volevano che odiassimo, ma così non è stato”.
Qual è il senso profondo di questa affermazione?
«L’ amore per la vita e nello stesso tempo il rispetto per quella degli altri».
Nel rastrellamento seguito all’azione dimostrativa in bassa Valle dell’8 marzo ’44 venne catturato anche “Ferruccio”