“Educare: il mestiere più difficile”. Se ne è parlato martedì sera scorsa, nella sagrestia del duomo di San Giovanni, in una conferenza cui è intervenuto don Salvatore Vitiello, della pontificia Università Lateranense di Roma. Incontro che si inserisce nel solco degli orientamenti pastorali dati dalla Conferenza episcopale italiana per il decennio 2010-2020. Moderatore e organizzatore Giovanni Ravalli. Docente di Religione e coordinatore nazionale missioni Gioventù ardente mariana (Gam) che ha introdotto il dibattito: «Dall’economia alla società, dal diritto alle rappresentanze delle istituzioni, l’incertezza sembra essere il carattere dominante dello scenario attuale. Ma di fronte a questo panorama desolante la sfida educativa è il punto di svolta da cui ripartire. Per genitori, docenti e per gli stessi ragazzi, la conferenza di don Salvatore Vitiello, relatore eccezionale, è un momento di riflessione e confronto, di crescita e formazione». Oggi siamo in “emergenze educativa”: questo il punto di partenza del sacerdote, docente alla facoltà teologica di Torino: «Si è interrotta la narrazione intergenerazionale. Stabilire un legame tra generazioni – afferma – significa dire ai figli quale fatto fondante ha costituito la vita. Mediante la narrazione si sancisce con le giovani generazioni un rapporto non solo biologico, ma profondamente umano. La nostra società ha perduto la memoria di chi è. Senza narrazione si apre la porta all’ospite più inquietante, il nichilismo».
Il sacerdote-professore chiama in causa l’incipit della prima enciclica di Papa Benedetto XVI dove si parla dell’essere cristiano attraverso l’incontro, innanzi tutto, con un avvenimento, una persona. Prosegue don Vitiello: «L’educatore non può essere afasico: o parli di ciò che ti ha costituito o fornisci regolette. Le domande dei bambini a volte ti inchiodano: non puoi dare risposte che non hai e non rispondere significa non educare, allora devi rispondere ciò che è vero per te stesso. Perché – e aggiunge una definizione – l’educazione è la tradizione che diventa presenza dentro una testimonianza».
Educare resta difficile. Secondo il sacerdote nel sistema sociale che abbiamo costruito il figlio è sentito come peso invece che come gioia: una dimostrazione il non sapere dove sistemarlo o il doverlo parcheggiare. Un altro segno le camerette piene di giocattoli, dimostrazione che «dobbiamo dare quello che non diamo più per assolverci dal complesso di colpa». Ma anche le stragi del sabato sera: «Nascono dal fatto – afferma – che una generazione intera non ha saputo dare una proposta educativa».
Educatore, il mestiere più difficile