Giacomo Grosso, classe 1921, di Varisella, si è emozionato quando il ministro Elsa Fornero, venerdì 27 gennaio al Circolo Ufficiali di Torino, gli ha consegnato la medaglia d’onore per i deportati e gli internati nei lager nazisti. Giacomo è uno degli ultimi testimoni diretti della Shoah. Nel Giorno della Memoria, è stato uno dei due uomini ancora in vita ad aver ricevuto la medaglia dal ministro e dal sindaco di Torino Fassino. Altri quattro sono di Vallo e Varisella. Grande la commozione dei familiari alla cerimonia. Sono loro oggi, a tramandare a figli e nipoti, i ricordi del periodo più buio della storia del Novecento.
Giacomo Grosso era militare di leva nel 1940, in territorio di guerra dal 28 maggio 1941, prima autista poi aviere scelto, dal 5 agosto 1942 in Grecia alla base aerea di Scarpanto e poi sull’isola di Rodi, pochi giorni dopo l’8 settembre 1943 viene catturato dai Tedeschi. «La nave che ci trasferiva a Creta – ricorda – venne attaccata dagli Inglesi. Noi ci salvammo, ma pochi giorni dopo ricademmo nelle mani tedesche». Due anni in campo di concentramento a Creta, dove «molti miei compagni morirono. Mi salvai forse per il mio lavoro di autista». A guerra finita, viene catturato dagli inglesi e passa più di un anno in un campo in Algeria, prima di raggiungere casa, dove arrivò a Pasqua del 1946, malato, guardato come un fantasma dai suoi concittadini – nel paese natio di Carignano – che lo credevano ormai morto. A celebrare il suo ritorno a casa anche Giuseppina Galeasso, allora 15enne, che tre anni più tardi diverrà sua moglie e che ancora oggi gli è accanto.
Riquadro 5, fila O, tomba 11. Nel Cimitero Militare italiano d’onore di Amburgo riposa Lorenzo Bergero, classe 1923, “matricola 9345”, nato a Vallo. Viene chiamato alle armi il 15 gennaio 1943 nell’11° Reggimento Fanteria “Aosta”. Giunto in zona di operazioni militari il 25 marzo 1943, lo catturano i tedeschi a Isola San Mauro (Grecia) il 19 settembre 1943. Muore in Germania, prigioniero, per malattia il 26 maggio 1944. La sorella Domenica, con la nipote Romana Bussone, oggi sfoglia le lettere che Lorenzo inviava alla famiglia dal campo. La memoria fissa sull’immagine di quel ragazzo, partito da Vallo e mai tornato.
Altra matricola, altra storia. Quella di un uomo che ha combattuto e che poi si è speso per la rinascita del suo paese, Vallo. Secondo Colombatto, matricola 51702 – chiamato alle armi e giunto nel 3° Reggimento Alpini (Battaglione Exilles) il 25 maggio 1938 – in territorio di guerra l’11 giugno 1940 – partecipa dall’11 al 25 giugno 1940 alle operazioni sulla frontiera occidentale. Partito per la Croazia e sbarcato a Gravosa l’11 gennaio 1942, viene trattenuto e fatto prigioniero dalle truppe tedesche l’8 settembre 1943. Deportato in Germania, viene liberato dai Russi il 29 gennaio 1945 e rimpatriato il 9 ottobre. Decorato di due Croci al merito per le operazioni di guerra e per l’internamento in Germania, è assessore di Fiano dal 1951 al 1954 e poi di Vallo (Comune ricostituito), dal 1956 al 1960 e dal 1964 al 1966.
Tra chi è tornato c’è anche Michele Colombatto di Varisella, deceduto nel 1979, a 55 anni. Ricordava raramente il lungo periodo di guerra culminato con la prigionia. «Di quei due anni terribili parlava poco – afferma il nipote Tiziano – perché diceva di aver visto e subito cose inimmaginabili». Marinaio, non ancora ventenne, il 16 novembre 1943 lo catturano le truppe tedesche nell’isola di Lero, in Grecia. Deportato in un campo di concentramento a Polos, viene liberato dagli Inglesi alla fine della guerra, nell’aprile 1945.
Dai campi della Grecia alla Germania. Giacomo Re, di Varisella, chiamato al servizio militare nel 1939, a Moncenisio, poi a Susa, caporale di fanteria, nel gennaio 1941 viene trasferito a Durazzo, dove partecipa a diversi scontri per cui riceve, anni dopo, la Croce militare. I giorni più duri cominciano però dopo l’armistizio, quando, catturato, viene imprigionato a Mathausen e poi a Buchenwald. Torna in Italia nel 1945. Ma certo il suo animo era segnato per sempre. Ne parlava poco, specie con la moglie Giovanna Apelli e i figli Elio e Loredana. Quest’ultima ancora ricorda una sua frase, quando lei e il fratello da piccoli facevano qualche capriccio sul cibo: «Mangiate – diceva – perché io ho dovuto mangiare pietre per riempirmi lo stomaco».
Il ministro Fornero premia i deportati – A Vallo e Varisella 5 riconoscimenti