«Cosa possiamo dire? Per senso civico e di giustizia siamo contenti che i due pirati siano stati presi, ma questo non allevia il nostro dolore. Ale non c’è più e nulla potrà ridarcelo. Calogero continua a lottare tra la vita e la morte». È il commento triste di Giorgio Bianco, zio di Simonetta Del Re, 46 anni la mamma di Caselle, travolta con il marito Calogero Sgrò, 50 anni, e il figlio Alessandro di 7, sulle strisce pedonali di corso Peschiera, quel maledetto pomeriggio del 3 dicembre.
I pirati che li avevano travolti ed erano fuggiti senza prestare soccorso, dopo un mese e mezzo di complicate indagini sono in carcere. Hanno travolto e distrutto per sempre una famiglia. Vigliaccamente hanno nascosto l’auto in un garage di Aosta. Non si sono commossi neppure quando mamma Simonetta, prima di Natale, aveva lanciato un accorato appello, affinché si costituissero.
Ora sono stati arrestati, nella notte tra lunedì e martedì. Ma, ancora non hanno espresso un reale pentimento. Eppure, hanno spezzato la vita ad un bimbo di appena 7 anni e ridotto in fin di vita il suo papà, Calogero.
I due, Alessandro Cadeddu, 32 anni, e Francesco Grauso, 25, entrambi residenti ad Aosta, correvano quel pomeriggio. Avevano fretta. Dovevano incontrare il loro pusher di fiducia per acquistare la droga. In corso Peschiera, sono sfrecciati a 90 chilometri all’ora, incuranti dei semafori, delle strisce pedonali, di quella famiglia e di quelle auto ferme per farli attraversare. La famiglia Sgrò l’hanno colpita come una palla da bowling colpisce i birilli. Ma, non era un videogioco: erano esseri umani. Alessandro aveva solo 7 anni, tutta una vita davanti, progetti e speranze future. Ma, loro non si sono fermati, hanno proseguito la loro corsa. «Senza soldi, dopo aver comprato l’eroina – ha raccontato Cadeddu agli inquirenti – siamo usciti dall’autostrada, ad Aosta, senza pagare il pedaggio. Forse ero ancora sotto l’effetto degli stupefacenti». Grauso ha chiuso gli occhi, perché nell’impatto una scheggia di vetro gli aveva colpito la faccia. Qualcosa aveva sbattuto violentemente contro il loro parabrezza: era Calogero Sgrò. Era un uomo, un padre.
Grauso, assistito nel suo interrogatorio in Procura dagli avvocati Sandro Sorbara di Aosta e Francesca Peyron di Torino, per giustificarsi ha dichiarato: «Ho provato a pensare “fermiamoci”, forse l’ho anche detto a Cadeddu, ma lui ha tirato diritto. Dopo l’incidente ero disperato, combattuto, non sapevo cosa fare e subivo l’influenza di Alessandro che è più grande. Da me dipendevano le sue sorti. Lui mi aveva detto di non far niente e se succedeva qualcosa di dire che era stato lui». Così, la Clio grigio scuro è finita nel garage di casa Grauso.
Gli inquirenti, l’altra sera, l’hanno trovata ancora con i segni dell’incidente e i capelli e il sangue di Calogero Sgrò sul parabrezza frantumato.
«È giusto che siano finiti in carcere – dice ancora Giorgio Bianco – ma per noi non cambia niente. Nessuno potrà mai restituirci Ale. Saremmo più sollevati se almeno Calogero potesse risvegliarsi dal coma». Mamma Simonetta, ospitata da un mese e mezzo ormai nella casa di sua madre, commenti preferisce non farne. Non ne ha voglia, non se la sente. «Per ora ha tenuto duro – dice ancora Bianco – ma non so per quanto ce la farà. La sua vita ormai è scandita da tre appuntamenti fissi: la fisioterapia, il cimitero e la visita al Cto a suo marito».
Ma, come si è arrivati all’arresto dei due pirati della strada? Gli uomini del Nis (il nucleo di investigazioni scientifiche della polizia municipale) sono partiti dai dati identificativi dello specchietto laterale sinistro e di due pezzi della mascherina laterale dello stesso lato di quella particolare Clio. Produzione avviata nel maggio 2010: 7600 autovetture immatricolate in Italia, che con un algoritmo matematico sono scese a 80. Dopo aver smontato tre Clio, gli investigatori sono arrivati al garage di Grauso: i pezzi rimasti sull’asfalto in corso Peschiera combaciano perfettamente con quelli che pendevano ancora dalla sua vettura.
Dopo gli interrogatori, il pm, Gabriella Viglione, chiederà la convalida dell’arresto e la misura della custodia cautelare in carcere per entrambi. Sono accusati di omicidio colposo e omissione di soccorso, aggravati dall’aver provocato più vittime Rischiano una condanna che può arrivare fino a 15 anni di reclusione.
Il sindaco, Giuseppe Marsaglia, che in più occasioni aveva invocato giustizia per la famiglia: «Per loro cambierà poco, ma almeno è un segnale forte per chi in futuro commetterà crimini del genere». Sulla stessa linea la dirigente scolastica, Loredana Meuti, di Caselle, la scuola frequentata dal piccolo Ale: «L’arresto non restituisce Alessandro ai suoi famigliari, ma almeno giustizia è stata fatta».
Uccisero Ale: presi i pirati della strada