Insieme con il figlio Davide vive nel Castello di Rivara da oltre vent’anni. Era il 1985 quando Franz Paludetto vide per la prima volta il complesso: il castello vecchio, nel Medioevo sede del tribunale dell’Inquisizione, e la villa neobarocca, che sul finire del secolo scorso ospitò i pittori della “Scuola di Rivara”. In poco tempo Paludetto e la sua famiglia hanno rilevato tutte le quote della società cooperativa proprietaria del castello, dando vita al Centro d’arte contemporanea.
Grazie a questo sigimagininore veneto di settant’anni l’arte è tornata così ad abitare nelle stanze della villa e nell’antica fortezza dove un tempo si processavano le “masche”. «Quest’opera, realizzata a Rivara, oggi appartiene a Lucio Dalla e questa è stata acquistata da Patrizia Sandretto», racconta con orgoglio Paludetto sfogliando alcuni cataloghi. Il castello è stato un trampolino di lancio per molti artisti, oggi noti a livello internazionale. «Il primo lavoro di Maurizio Cattelan, ad esempio, è ancora qui».
Immagini, ricordi. Paludetto, snocciola dati e corre da una stanza all’altra alla ricerca dei segni lasciati dai grandi artisti. Tutto d’un fiato racconta il successo dell’ultima mostra “Su nero nero”. Eppure la vita nel castello, tra arte e storia non è solo questo. Anzi. Il rovescio della medaglia c’è ed è pesante.
Paludetto cambia tono. Diventa quasi polemico quando lamenta un Certo distacco delle istituzioni locali e non dalle attività che si svolgono nel castello» . Ma i fastidi non sono legati solo alla poca attenzione per la cultura. Il nome dei Paludetto è recentemente tornato sulle pagine di cronaca a seguito di una vicenda giudiziaria: una società di restauro torinese, la Pandora, ha intentato una causa contro la cooperativa per un lavoro di ripristino di intonaci risalente a due anni fa che non sarebbe stato pagato. Secondo i Paludetto la Pandora non avrebbe rispettato gli accordi ma la sentenza del giudice di pace ha comunque condannato padre e figlio a pagare circa due mila euro di spese legali.
«Viviamo qui dodici mesi all’anno senza ricevere alcun contributo, lo facciamo esclusivamente per difendere la cultura – conclude – Offriamo un servizio di cui tanti ci sono riconoscenti ma perché il pubblico aumenti servirebbe un maggior coinvolgimento delle istituzioni, da soli non ce la possiamo fare».
«Difendiamo la cultura senza alcun contributo, ma serve più coinvolgimento delle istituzioni»